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Diario di bordo – Restauro di un’Alpa 11.50 – Come rovinarsi la vita!

By 26 Marzo 2025Avvisi ai Naviganti, Blog
Restauro di un’Alpa 11.50 – Come rovinarsi la vita!
Perché una persona sana di mente (credo) decide di rovinarsi la vita per restaurare una barca a vela?
Il sogno
Avevo un sogno nel cassetto: avere una barca a vela tutta mia.
Sognavo di navigare in lungo e in largo per tutto il Mediterraneo, un posto pieno di storia e di arte con mari, rade, golfi e baie che non hanno nulla da invidiare ai Caraibi.
Sognavo di navigare per il piacere dell’andar per il mare.

Nell’anno 2009 acquistai un’Alpa 11.50, un’imbarcazione che mi piaceva moltissimo: era una tra le migliori barche della marineria da diporto degli anni ’70. La barca si chiamava Nanù, nome tratto dal film del 1973 “Nanù, il figlio della giungla”.
Alpa 11.50 – Un mito
Era già un paio d’anni che cercavo un’Alpa 11.50 da restaurare, ma perché proprio quel modello?
Il cantiere Alpa, meravigliosa realtà dell’industria italiana, ha creato delle barche eccezionali, considerate in tutta Europa come le Mercedes del mare. L’Alpa 11.50 era – ed è tutt’ora – considerata una vera Signora del mare, una barca robusta e sicura, una barca performante che fende le onde senza sbatterci contro. Come tutte le barche di quell’epoca, gli interni erano spartani ma fatti bene, spaziosi e belli.
Le prime idee, le prime scelte
Perché ho deciso di restaurarla e non comprarla già restaurata?
Perché le barche usate in vendita avevano già 40 anni e con tutti i loro problemi. In ogni caso avrei dovuto metterci le mani, perché ero convinto che avrei potuto farcela e perché pensavo che avrei potuto risparmiare qualche soldo.
I problemi dell’Alpa 11.50 erano soprattutto legati alla coperta e alla sua delaminazione; inoltre, molte imbarcazioni tra i modelli più economici avevano gli interni in pioppo rivestito, che col tempo erano destinati a rovinarsi a causa dell’umidità. E, a dirla tutta, anche le imbarcazioni con gli interni più lussuosi in mogano avevano i loro bei problemi.
Decisi così di prenderne una da rifare da zero.
Niente di più sbagliato…
Un amico, il caro Nicola Pino dell’associazione “Moana 60”, mi disse: “Chi si fa la barca non naviga”.
Ed era proprio vero.
L’inizio del viaggio
I primi mesi del 2009 venni contattato da una persona che aveva un’Alpa 11.50 in vendita con le caratteristiche che cercavo: la barca si trovava a Marina di Sibari, precisamente dall’altra parte d’Italia rispetto a dove mi trovavo io.
Non volendo fare le cose alla cieca e non avendo esperienza alle spalle (solo tanta passione e curiosità) decisi di rivolgermi all’ingegnere Marco Cobau – esperto che scriveva nel periodico mensile “Bolina” – per la perizia della barca.
Dopo una contrattazione sul prezzo, io e l’ingegnere Marco Cobau andammo a periziare la barca, attraversando l’Italia da nord a sud e giungendo, dopo un viaggio estenuante, proprio a Marina di Sibari.
Appurato che la barca era priva di osmosi (cioè formazione di bolle d’aria tra gli strati di resina della carena, una cosa non tanto simpatica da affrontare) e che l’opera viva e lo scafo erano in buone condizioni, concludemmo l’affare.
Tornato a casa, feci scavare nel giardino una buca lunga 8 metri, larga 1,5 metri e profonda un altro metro e mezzo.
Dovetti organizzare il trasporto eccezionale dalla locazione della barca sino a Zugliano, provincia di Vicenza, perché l’imbarcazione non era nelle condizioni di navigare.
All’arrivo di Nanù nei primi giorni di maggio, una gru era già pronta per scaricarla dal trasporto eccezionale. Tra lo sgomento generale dei vicini, che si sono visti arrivare una barca a vela in territorio prettamente montano (sì, Zugliano si trova ai piedi delle Alpi), nel giro di un’oretta la barca era pronta, incastonata nel giardino di casa: guardata con occhi strabuzzati dalle case vicine, aveva ormai finito il suo primo viaggio.
Per fare un buon lavoro, l’Alpa 11.50 venne messa in bolla sul puntello dell’albero, in modo da avere dei punti di riferimento quando gli interni sarebbero stati completamente rimossi.
Nei mesi a seguire, costruii un’ampia tettoia di circa 22 metri per 6, alta 3 metri e mezzo: si trattava praticamente di un piccolo capannone.
Ero pronto per iniziare i lavori.
Il cantiere
Decisi di iniziare con ordine, procedendo dall’esterno verso l’interno: il primo lavoro era anche il più difficoltoso, ossia aprire la coperta e ricostruirla. Ricordo ancora chiaramente com’era camminare su quel materiale divorato dal tempo: la vetroresina cedeva sotto ogni mio passo, aveva ormai perso la sua capacità isolante.
Dopo aver squartato il ponte di coperta, rimosso il marciume e rifatto a nuovo il tutto, sono potuto passare allo scafo e alla ricostruzione di tutti gli interni.
Il restauro svolto è stato certosino e non ho tralasciato nulla: pareti, mobilio, impianto idraulico, impianto elettrico, vasche delle acque chiare e acque nere, tutto è stato sistemato e portato a nuovo.
Mi sono preso anche delle licenze poetiche rispetto al progetto originale: ho costruito un nuovo gavone esterno; ho rifatto interamente il bagno per aggiungere la doccia separata; le due docce, quella esterna e quella interna, possono selezionare l’acqua calda e fredda; la camera di prua è stata completamente rivisitata per renderla più confortevole; ho aggiunto un tavolo da esterno per potersi gustare il tramonto durante la cena.
In linea con la tradizione, invece, sono rimasti il quadrato, la cucina e la zona carteggio: lì si respira ancora il progetto originale dell’Alpa 11.50.
Sono state fatte innumerevoli scelte e migliorie per rendere la barca più confortevole durante la navigazione e durante i momenti conviviali. Sono state ottimizzate le manovre sia a vela che a motore e il motore stesso è stato completamente rivisitato.
Finalmente in acqua
Alla fine, Nanù è rimasta ormeggiata in giardino per ben 14 anni: sono stati lavori lunghi, che hanno visto la collaborazione di tanti amici per la realizzazione di tutti questi interventi diversi e complessi. A conti fatti, purtroppo non ho risparmiato tanti soldi come pensavo e, anzi, ne ho spesi di più del previsto.
Nanù è stata varata il 1° Aprile 2023 con tanta gioia ed emozione mia e dei miei familiari, che mi hanno aiutato attivamente nella realizzazione di questo progetto mastodontico e che ringrazio di cuore per la pazienza avuta in tutti questi anni.
Dopo un paio d’anni in acqua che mi hanno permesso di entrare in confidenza con l’imbarcazione, Nanù ora è pronta a veleggiare e portare con sé gli appassionati e i curiosi che vogliono scoprire uno dei fiori all’occhiello dei cantieri navali italiani.
Tra storia, tradizione e innovazione.
Vladi

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