Luglio 2013…
«Su Moana60 ci sono tre regole: si mangia quando si ha fame, si dorme quando si ha sonno e la sera si fa festa». E’ la prima cosa che ci dice Nicola quando saliamo sulla sua barca.
Noi ragazze siamo in cinque, partite da Milano con lo zaino sulle spalle, due tende colorate e neanche la più pallida idea di quello che avremmo trovato a Zante. Il resto dell’equipaggio lo conosciamo solo dopo aver lasciato la terra ferma. Oltre a Nicola, skipper e proprietario della barca, conosciuto per caso a Keri Beach durante il nostro soggiorno a Zante, c’è Cisco, suo amico dagli anni della scuola, che ora vive a Parigi. Ha portato un’amica, Helen, cinquant’anni e bellissima, atterrata direttamente da Los Angeles, dove vive e fa la make up artist. E poi c’è Fiore, bresciana, poco più grande di noi, che sarebbe dovuta tornare a casa il giorno prima, ma, innamorata di Moana, ha deciso prolungare la vacanza e prendere il largo.
Moana60 è una barca da regata, è lunga 18 metri, ha fatto due volte il giro del mondo e il suo capitano la definisce «un po’ spartana». Non ha cabine oltre a quella alla capitaneria, ma otto cuccette ricavate qua e là. Sfruttando il boma nel modo giusto, ci si sta anche in una dozzina e noi in 9 ce la caviamo comodamente.
9 agosto – La prima tappa è il Navagio. Il naufragio che le dà il nome è quello di una nave di contrabbandieri di sigarette che, nel 1980, tallonati dalla guardia costiera greca, si fermarono nella baia sperando di sfruttarne il buio come nascondiglio. La nave, arenata e irremovibile, è da allora un’attrazione turistica. Ma ciò che di più incredibile caratterizza questa spiaggia è il colore blu cobalto del mare, dovuto alle sorgenti sulfuree sul fondo. Il paesaggio mozzafiato è il più dolce dei saluti da parte dell’isola che ci prepariamo a lasciare.
Per sera arriviamo ad Agios Nicolao, un piccolo porto a nord dell’isola, in cui si respira aria di festa. Dimitri, il ragazzo che accoglie Moana, sembra non avere ancora trent’anni eppure è già il re del porto. Spalanca le braccia mentre parla e con il poco inglese che mastica ci accoglie nel suo ristorante dove ci abbuffiamo di souvalki, tonno, moussaka, melanzane e zucchine fritte, ouzo e tentura.
10 agosto – Giorno di viaggio. Siamo diretti all’isola di Ulisse e veleggiamo spavaldi ritrovandoci a domare Moana in un punto particolarmente ventoso. Per la prima volta abbiamo un assaggio di cosa vuol dire navigare su una barca da regata. Finalmente possiamo mettere in pratica le dritte che Nicola ci ha dato prima di partire. Siamo un completo disastro, ma lui ci incoraggia e noi ci sentiamo dei pirati nei mari dei Caraibi. La sera arriviamo a Vati, capoluogo di Itaca. Mangiamo spaghetti sotto le stelle cadenti e, leggendo le poesie di Ferdinando Cossio (del suo libro “Parole d’acqua”), abbiamo la sensazione che parlino proprio di noi.
11 agosto – Itaca è molto diversa da Zante. E’ rigogliosa e verdeggiante di cipressi che si alternano a cespugli e alberi più bassi.
Moana è un barca libera: è snella, veloce ed essenziale e noi tutti ci sentiamo un po’ così. Senza scarpe e senza orologio, ogni scelta è più spensierata. In mare non esistono strade né cartelli, non esistono limiti. Quando guardi davanti a te e vedi solo acqua, tutto sembra possibile e nulla irraggiungibile.
Quando arriviamo nel porto di Kioni, ci troviamo improvvisamente affiancati da un traghetto carico di turisti vocianti. Sono centinaia, vestiti di colori vivaci e scattano fotografie in continuazione. Con il microfono, il traghetto ci parla in greco e un ragazzo al porto ci informa che dobbiamo spostarci e tornare un’ora più tardi per dare tempo a quello squalo a motore di far scendere e risalire i turisti. Moana è così piccola e così leggera in confronto a quel mostro, così agile nel porto, così veloce tra le onde, che non possiamo che sentirci improvvisamente fortunati e liberi. Talmente libere che, un po’ per provocazione e un po’ per divertimento, ci mettiamo tutte a prua a seno scoperto e salutiamo i turisti, che ricambiano il saluto tra l’entusiasmo e lo sconcerto.
12 agosto – Navigando arriviamo a Fiscardo, Cefalonia. E’ molto diversa dai centri abitati che abbiamo visto fino a quel momento. Tutto è nuovo e in ordine. Forse per questo è una meta molto ambita soprattutto da chi, come la famiglia con la barca accanto alla nostra, preferisce la sedentarietà perfino in barca. «Parcheggiare» Moana si rivela una manovra molto più complicata del previsto: vicino alla banchina l’acqua è troppo poco profonda. Una nuova barca in un porto è come un nuovo vicino di casa: c’è chi ti bussa alla porta con un cesto di frutta e chi ti lascia i biglietti con le lamentele in ascensore. Tra i molti che ci guardano storto per le nostre manovre eccentriche, per fortuna sbucano Ravi, un ragazzo di origini mauritane che lavora sul grande yacht di una famiglia barese, e Fulvio, pugliese in vacanza con la famiglia, che ci aiutano a legare le cime e si fermano a farsi offrire una birra e raccontarci la loro storia.
Il giorno dopo arriviamo in una piccolissima baia, abitata soprattutto da vespe e capre. Le capre sono di buona compagnia, ma le vespe sono eccessivamente fastidiose e così improvvisiamo una trappola con un fondo di bottiglia. Dapprima lo riempiamo di marmellata, ma le vespe non ci cascano e così ci troviamo costretti a cedere alla causa il nostro bene più prezioso: la birra. La trappola funziona e ora del tramonto abbiamo quindici cadaveri di vespe e più nessuno che ci disturbi, mentre mangiamo spaghetti e cantiamo Jovanotti.
13 agosto – Il Capitano ci sveglia all’alba. Con una mano nel barattolo della Nutella e l’altra sul winch, partiamo alla volta di Zante. Oggi il mare ci fa il regalo più grande. In lontananza vediamo una barca a vela di rara eleganza, con una ragazza attaccata a penzoloni all’albero. A timonarla è Vittorio Malingri, il padre di Moana60, che nel 1992 partecipò con lei alla regata Vendee Gloobe: il giro del mondo in solitario, senza scalo, senza assistenza, doppiando i tre capi: Buona Speranza, Leeuwin e Capo Horn. A Nicola si illuminano gli occhi e anche noi, emozionati, agitiamo le mani e gli gridiamo «ciao, Vittorio!».
14 – Siamo tornati ad Agios Nicolao per passare l’ultima notte prima del ritorno a Keri, il porto da cui eravamo partiti cinque giorni prima. La mattina veniamo svegliate da Dimitri, re del porto, che ci chiede mezzo in greco, mezzo in inglese, se abbiamo visto le grotte. Senza neanche aspettare la risposta ci trascina giù dalle cuccette regalandoci l’ultimo piacevole imprevisto della nostra vacanza (se non consideriamo la carta d’identità perduta e il taxista con le mani in pasta, ma quella è un’altra storia).
Quella in barca a vela è una vita nomade: eliminato il superfluo, resta solo l’essenziale in tutta la sua bellezza. E allora a cosa serve un bidet o una doccia calda, quando hai un amico ad accoglierti in ogni porto e il mare che ti culla?
Grazie a tutti! un abbraccio a Marta per aver raccontato….